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Bosch: Cristo che porta la Croce

DIMORARE CON GESÙ:

PAROLA DI DIO PER LA NOSTRA SALVEZZA!

 
Bosch_cristo_che_porta_la_croce.jpgCi sono cinque “personaggi” della passione di Gesù che emergono dal Vangelo di Luca e che si vedono bene nel quadro di Hieronymus Bosch (1516): Gesù il Signore; i suoi carcerieri o aguzzini; Simone di Cirene; le donne piangenti individuate e interpellate da Gesù in mezzo alla folla; i due malfattori condotti con Lui verso il patibolo.
Stanno intorno a Gesù, che sembra apparentemente tutto subire e che è invece il grande protagonista, regista e guida di ciò che sta avvenendo. Coloro che conducono Gesù, che pongono la sua croce addosso a Simone, e che insieme al Signore conducono anche i due malfattori che devono essere giustiziati, sono in realtà gli esecutori della grande vicenda della salvezza operata dalla Pasqua del Cristo.
Simone che porta la croce dietro a Gesù è splendida immagine di ogni discepolo che segue il Signore portando la croce dietro a Lui! I due malfattori condotti insieme a Gesù verso la morte sono testimoni e beneficiari del mistero dell’Amore di Dio che in Gesù si immerge nella vicenda umana per salvarla. Mi sembra che questa sia la via lungo la quale possiamo cogliere il significato delle parole che Gesù rivolge alle donne piangenti, volgendosi verso di loro per coinvolgere anche loro nel dramma pasquale della salvezza. Il solo Luca ricorda questo particolare episodio della passione di Cristo, che fa di queste donne un’immagine splendida della chiamata universale alla salvezza.
Qual è dunque l’invito che Gesù rivolge loro?
Quello di immergersi profondamente nell’evento della sua morte, celebrandolo in se stesso come il livello più profondo e l’interpretazione più luminosa della loro stessa vicenda. Quello che sta accadendo non è solo l’episodio drammatico della vita di una persona, della persona di Gesù di Nazaret, ma è la rivelazione e la consegna all’intera umanità della rivelazione e della partecipazione di ciascuno e di tutti alla via della salvezza. Insieme a quelle donne, anche noi siamo invitati ad entrare nel grande, supremo dramma, nel quale Simone di Cirene e i due malfattori sono già entrati. Siamo chiamati a celebrare la passione del Signore come la “nostra” passione. La memoria della sua Pasqua è ormai per sempre l’offerta d’amore che, in Gesù, Dio fa all’umanità intera, perché ognuno e tutti possiamo in essa trovare, accogliere e lasciar fiorire il mistero dell’Amore che è più forte della morte e che, solo, può illuminare ogni umana vicenda.
Dopo aver ascoltato il Vangelo e una breve introduzione per comprenderlo con più chiarezza è necessario spostare la nostra attenzione dal Vangelo al quadro.
In questo, il quadro ci è d’aiuto, poiché ha la pretesa, ben riuscita, di mostrare quanto drammaticamente la nostra immaginazione vive, con buona realizzazione, nell’ascoltare i brani della Passione di Gesù.
In Bosch tutto il suo stile è altamente simbolico, così i particolari che andremo a vedere in quest’opera ci aiuteranno ancora più a entrare nel mistero del Signore Gesù che si dona a noi con la sua morte.
Vi sono moltissimi rimandi che l’autore desidera inserire nella sua opera: molti restano tuttora misteriosi, altri rimandano alla simbologia ebraica, altri ancora rinviano alla Sacra Scrittura.
Tutto il quadro che andremo via via a comprendere e che ci aiuterà a capire il mistero della morte di Gesù è particolare: come potete ben notare, il fondo è drammaticamente scuro e il corteo è pesantemente fermo. Sembra quasi voglia dire che il peso di tanta tristezza non permette a nessuno di muoversi, l’angoscia è talmente visibile che si percepisce la fatica, lo sdegno, il dramma. Non manca la tonalità dell’ingiuria che è presenza beffarda e umiliante nell’intera opera….
A guardar bene il quadro, pare che il denominatore comune dei personaggi sia la follia, la pazzia che rende ridicoli, spaventosi, orrendi anche i volti; ed è proprio vero! Dove nasce la follia? Essa è presente con maggior forza laddove il messaggio di Cristo è dimenticato.
Allora posizioniamoci nel cuore del quadro, avviciniamoci al Signore Gesù per mostrargli la nostra vicinanza, il nostro affetto, la nostra stima ed il nostro amore. Saranno questi “due” giorni di ritiro quaresimale a permetterci di toccare con mano la croce del Signore; il peso di quella croce non deve spaventare, è una croce che redime, che salva, che corregge la follia umana.
Avviciniamoci al Signore Gesù, facciamoci spazio in mezzo a questi volti strani, e saliamo con Gesù verso il Calvario, presso il luogo che aprirà a tutti le porte per la salvezza eterna.
 
IL PENSIERO DEI SOLDATI, LA CROCE, GESU’.
 
Il personaggio che apre il nostro dialogo è un soldato. E’ importante iniziare da questo gendarme poiché ci mostra come tutto il corteo è bloccato. Questo soldato ha deciso di fermare la triste processione, il pesante corteo, ma perché? Le risposte possono essere molte, forse per stanchezza, durante un lungo cammino è importante fermarsi, ora qua e ora là, per riprender fiato. Ma in questo caso il soldato ferma questo mesto passaggio per evitare che Cristo finisca in Croce. Stando così le cose, verrebbe da dire, a noi semplici osservatori: che guardia buona è il centurione del Vangelo, una persona che ha finalmente capito il Signore… Invece è necessario comprendere ancora più nel profondo. Vuole fermare il corteo perché non vuole far mettere in croce Gesù, ma non per bontà, non vuole che Gesù finisca su quella croce. E’ come se dicesse: “che Cristo non muoia, che Cristo non sia crocifisso!”. E ferma tutto ciò con lo scudo, non vuole che vi sia un ulteriore errore: mettere Gesù in croce e farlo diventare un eroe!
Noi infatti sappiamo che è necessario che Gesù sia crocifisso affinché si conosca il volto del Padre. Infatti, Gesù stesso, un giorno disse: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. (Gv 12,32).
Lo sguardo ora non può che andare sulla croce. Quest’albero di salvezza è accuratamente scansato dalla scena, è ridicolmente nascosta e traccia la diagonale dell’intero quadro, resta salda, quasi un perno, come un unico punto fisso sul quale tutta la scena si costituisce. E’, inoltre, opportuno ricordare alcuni nomi con la quale, nel corso della storia, la Croce veniva chiamata: “meridiana della storia” quasi a voler dire che grazie alla croce la storia leggerà la sua ora (che è l’ora di Gesù); è la trave portante del mondo nuovo che Cristo è venuto a riedificare in tre giorni, è la mistica bilancia (che pende verso il Bene), è vessillo di salvezza portato dal Salvatore. Come si osserva è chiaro quanto si è detto, è possibile intravedere nel legno della croce tutti i significati che la storia le ha dato.
Cristo impugna la croce, ma non è il solo a sopportarne il peso, anche il Cireneo la sorregge. Quest’uomo di Cirene è ritratto dietro a Gesù, non si vede lo sguardo, pare che guardi l’altezza della croce, quel poco che riusciamo a vedere, però, bocca, muscoli facciali distesi, sereni, tutto garantisce la bontà del gesto. Guardiamo ora al colore della pelle: è scura rispetto agli altri personaggi, la tonalità assomiglia al legno stesso della croce, inoltre, le sue mani, strette al legno, si confondono con le venature dello stesso.
Mi piace immaginare il Cireneo che approfitta di questa sosta per prendere la croce ed issarla impiantandola proprio lì, sul posto, purché cessi la confusione ed emerga infine la verità. Ma non è possibile. “Cristo è in agonia fino alla fine del mondo” disse un giorno Pascal, “Cristo è sulla via della croce fino alla fine del mondo” sembra precisare l’autore del quadro.
 
I MOLTI VOLTI: LA STORIA DI CIASCUNO.
 
E’ la croce che fa da sipario per tutto il quadro. Da essa si apre un gioco di volti: sono precisamente diciotto. La particolarità dell’autore sta nell’aver desiderato dipingere quattordici volti contrassegnati da ira, scherno, da pensieri malvagi: sono le quattordici stazioni della via crucis che come stretta di dolore, rinchiudono Gesù.
Dietro il legno della croce emerge, più elevato tra tutti, una guardia del sommo sacerdote, riconoscibile grazie al copricapo rosso, impugna un bastone ed assorto medita sull’evento. Come si può vedere dal labbro sporge un solo dente, segnale di un mezzo sorriso beffardo, soddisfatto per una infame condanna contro Colui che minacciava la nazione.
Davanti a questa guardia sacerdotale c’è un altro soggetto curioso, il notabile. E’ fiero, arcigno, guarda davanti a sé, ma se notiamo bene, non vede nessuno, perché i suoi occhi sono solamente concentrati nei suoi pensieri. Il suo è uno sguardo simile a quello della guardia del sommo sacerdote, uno sguardo rivolto ad una sola direzione, la presunzione e la caparbietà. Probabilmente è un uomo molto ricco, lo si nota dalle sontuose vesti che indossa, ma c’è un particolare che denota uno stile negativo: ha il lobo forato da un anello, proprio come in quel tempo si usava fare con gli schiavi. Per gli ebrei è un gesto disonorevole, nessuno si lasciava forare l’orecchio, nemmeno allo schiavo ebreo si osava farlo. Perché? La motivazione è molto semplice e bella. L’orecchio è l’organo dell’ascolto della Parola e della voce divina, ascoltare la Scrittura è poter entrare in relazione con Dio, per questo è così importante.
Una curiosità: noi per definire la Bibbia utilizziamo il vocabolo che ha il riferimento allo scrivere, la chiamiamo infatti Scrittura; gli ebrei invece la designano con un termine che riguarda il grido nell’orecchio a qualcuno, è come se la chiamassero “Gridata”, o qualcosa del genere! In Ebraico Bibbia si dice Miqrà la cui “qr” significa appunto gridare qualcosa negli orecchi a qualcuno. L’orecchio forato di quest’uomo indica la sua incapacità di ascolto della Parola, in lui ogni suono è disperso.
In fondo all’angolo superiore destro, proprio di fronte al notabile, dopo il buon ladrone, si vede, contro l’oscurità di fondo, un altro personaggio, un religioso. E’ un frate, quindi un soggetto che dovrebbe essere professionista della Parola, un soggetto che addirittura la porta inscritta nell’abito. Ma in questo frate francescano, il nostro artista vuole esplicitamente denunciare una religiosità piena di sé, una religiosità che pur sotto l’abito della povertà ha fatto, invece, la scelta del potere e grida in faccia la sua verità dogmatica al condannato a morte. Il dito puntato ricorda un oracolo presente nel libro di Isaia, che così recita: “… Se toglierai di mezzo a te il puntare il dito… allora la tua tenebra sarà come la luce…” (Is 58,9-10). E’ evidente che non può brillare la luce di chi persiste nel puntare il dito e non segue le indicazioni del perdono e della misericordia divina.
Altri volti sono avvinghiati, arrabbiati, paiono sbranarsi vicendevolmente, sembrano svincolati da qualsiasi buon criterio umano. Nessuno di essi, sebbene siano vicini a Gesù, è rivolto verso di lui, pare siano dominati dal demonio stesso, dalle forze del male. Ci sono, infatti, mescolati tra loro dei fattucchieri: uno è ben visibile davanti al Cristo, un altro si intravede dietro al notabile, lo si riconosce dal cappello. Tale copricapo ha la caratteristica di essere confezionato con i colori dell’acqua, dell’aria, del fuoco, e sulla sua sommità è posizionata una sfera che rappresenta la terra, con due nastrini luminosi: simboli del potere della magia nera. Quel cappello simboleggia i quattro elementi fondamentali dell’universo sopra i quali essi esercitano il potere magico. Costoro sembrano essere i veri responsabili del caos e della follia umana. Unicamente nei loro tratti e nei loro volti si coglie che questo lungo corteo può trovare salvezza solo nell’innalzamento della croce. Anche nella vita è così. Persone cattivissime, brute e brutte pare che possano trovare salvezza solo grazie alla misericordia divina.
Qua e là si vedono catene ed anelli infilati nei volti degli uomini. Con questo stile l’autore vuole rendere presente e visibile l’Anticristo, che non è indicato in un preciso uomo, ma viene identificato con la confusione, il caos, con il relativismo assoluto, con l’impedimento ad innalzare Cristo sul suo trono che salva, sulla croce. La croce infatti è luogo della gloria di Dio, è manifestazione di quella luce piena che scaccia le tenebre.
 
PORTARE GESU’ AGLI ALTRI: LA SALVEZZA E’ PER TUTTI!
 
Finalmente dopo molti volti atroci ed orrendi, sfigurati dal male, possiamo posare lo sguardo su un volto positivo, quello di una donna. E’ vicina alla Veronica e rivolge uno sguardo preoccupato, pensieroso e nel contempo indagatore, sembra ricordare l’atteggiamento della moglie di Pilato che presagisce il mistero di Cristo e teme vi sia un eterno errore nel condannarlo. Questa donna è anche la chiave di accesso a quattro volti positivi: quello del Cireneo, del Buon Ladrone, della Veronica e quello di Gesù.
Il Cireneo, come abbiano già detto precedentemente, è colui che accetta su di sé il peso della croce, e già ne sperimenta gli effetti salvifici. Il Buon Ladrone getta uno sguardo di implorazione verso Gesù, è come se volesse ritirarsi dalla “salvezza venduta con i saldi”, dalla salvezza a buon mercato proposta dal religioso e si rivolge invece verso il compagno di viaggio: l’Uomo che con lui, sofferente non compreso, porta la croce. Non lo vede, ma dal suo volto dolente, traspare una rassegnata bontà che l’altro ladrone, rabbioso e pieno di sé, non comprende e non conosce. Così, questo Buon Ladrone, che la tradizione ci farà conoscere come San Dismas, comprende che Gesù, suo compagno di viaggio in questa salità verso la morte, è immagine di pace nel caos, immagine della bellezza nella bruttura del mondo.
Gesù ha gli occhi chiusi, ma è l’unico che vede; il suo capo riposa già reclinato sul legno della croce, pienamente abbandonato al disegno del Padre: la sua vita come offerta di sacrificio per riscattare l’uomo dalla morte. Ma è pure pacifico e sicuro dell’amore del Padre, nonostante l’ora di terrore: amandolo non lo abbandonerà.
Gesù è posizionato al centro della diagonale formata dalla croce, ma la buon osservatore non manca di notare come Cristo sia al centro di un’altra diagonale: quella che da San Dismas giunge alla Veronica. In questa donna amorevole e pietosa (ricorda che dal latino Veronica significa “vera icona”, colei che porta l’immagine del Cristo al mondo intero) si riflette il volto degli amici di Gesù, si riflettono i gesti di amore che sono stati fatti quando Egli era tra i suoi, l’unzione di Betania, e altri episodi. La Veronica, naturalmente, regge un telo che rimanda al telo simbolico della sepoltura. Anch’essa come Gesù ha gli occhi chiusi eppure vede. Vede già la gloria del Cristo vivente.
Dall’oscurità assoluta che regna sulla scena il volto di questa donna amorevole sorge luminoso. Nessuna fonte di luce è presso di lei se non ciò che ella vede, se non ciò a cui è diretto il suo intimo sguardo, la sua beatificante contemplazione: il volto del Cristo che impresso sul telo già annuncia la sua Risurrezione.
Ed è solo in questo momento che l’autore ci vuole mostrare il diciannovesimo volto del dipinto. L’unico volto che guarda verso l’osservatore. L’unico volto che ci interpella: il volto sereno e divino del Cristo impresso nel telo. E’ il Cristo che fissa nel tempo la pace, dentro il susseguirsi di una storia minacciosa, ma alla fin fine, strana come una caricatura. Solo in Cristo l’uomo ritrova il suo volto umano, ritrova impressa in lui l’immagine di un a vita serena e senza fine: L’ETERNITÀ.
 
 

 

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