Un ritratto settecentesco che sprigiona insieme grazia ed energia
Il sorriso di san Carlo
L’intenso capolavoro di Pietro Antonio Magatti in Santa Maria Segreta a Milano
di Luca Frigerio
Il volto è scavato, la pelle tirata sul cranio, aureolato di una monastica tonsura. Anche quegli occhi, infossati e gonfi per le veglie notturne, ne denunciano le privazioni e gli sforzi immani. Perché si consuma, san Carlo, bruciato da una fede che lo accende come una fiamma, incapace di risparmiarsi, pur di guidare e acco
mpagnare il gregge che gli è stato affidato. Eppure, in questo vivissimo, straordinario dipinto di Pietro Antonio Magatti, il vescovo Borromeo sorride, mentre posa il capo sul costato ferito di Cristo, abbracciando dolcemente la croce. Un sorriso di perfetta letizia, d’intima gioia che sgorga dal cuore per affiorare alle labbra del santo…
Questo prezioso “ritratto” sancarliano è custodito nella chiesa di Santa Maria Segreta a Milano. Riprodotto, anche recentemente, su libri e opuscoli dedicati al Borromeo, merita tuttavia di essere riscoperto e ammirato dal vero, per coglierne tutta la qualità artistica e i sorprendenti virtuosismi pittorici. Sì, perché è questa una delle prove più convincenti, se non addirittura la migliore, di quel poliedrico pittore varesino che fu il Magatti, fra i più rappresentativi esponenti dell’arte lombarda del Settecento, maestro di quello stile aggraziato e sognante conosciuto con il nome di “barocchetto”.
In questo quadro, in realtà, di circa un metro e venti di base per un metro e mezzo d’altezza, c’è poco di leggiadro e molto di intenso. C’è una forza, un’energia che si sprigiona dalle pieghe stesse degli abiti cardinalizi del santo, che si impone nei tagli di luce che squarciano il buio della scena, nel bagliore di particolari di per sé marginali, ma che in realtà attirano con prepotenza la nostra attenzione, come i chiodi nei piedi di Cristo, le narici del vescovo, lo spigolo dell’inginocchiatoio che, caravaggescamente, punta verso l’esterno, quasi tendendo la tela…
San Carlo è rappresentato a figura intera, inginocchiato, proteso in avanti, in un colloquio mistico col Crocefisso, croce processionale per dimensioni, più che da devozione da camera. Una linea diagonale attraversa il dipinto, guidando il nostro sguardo dal braccio di Gesù al volto di Carlo, fino alla mano destra del santo, in basso, che Magatti scorcia abilmente, frantumando l’impasto pittorico in brevi e veloci pennellate. Gradazioni tonali ombrose improvvisamente percorse da colpi di luce, a creare un’atmosfera intima e suggestiva, di languore estatico. Una pittura insolita nella produzione dell’artista varesino, al punto che in passato questo dipinto era stato riferito alla scuola del Cerano, e che in effetti appare proprio come un omaggio di Pietro Antonio Magatti alla maniera borromaica del primo Seicento, ma frutto della sua maturità e databile quindi al quarto decennio del XVIII secolo.
Come sia giunto questo quadro in Santa Maria Segreta è ancora un mistero. Mistero condiviso con un’altra splendida opera del Magatti, un Sant’Antonio da Padova col Bambino, che non si tralascerà di ammirare congedandosi dalla chiesa milanese.