S. Francesco, dipinto in SS. Nazaro e Celso
Anche Francesco tra i Santi della nostra chiesa
Un bel dipinto che continua la tradizione “francescana”della comunità bressese.
di Luca Frigerio
Una nuova opera d’arte viene oggi ad arricchire la nostra chiesa parrocchiale, grazie a una generosa donazione. Si tratta di un dipinto che ritrae San Francesco d’Assisi, realizzato nel 1966 da Cesare Daelli, pittore milanese che proprio a Bresso, nella scorsa estate, è stato oggetto di una bella mostra antologica.
Il quadro, di dimensioni ragguardevoli, raffigura San Francesco raccolto in preghiera, in ginocchio: le mani e i piedi appaiono segnati dalle stigmate, che il Poverello ricevette sul monte della Verna nel 1224. Il volto del Santo è scavato, il corpo esile, smagrito dalle privazioni e dalla penitenza: eppure tutta la sua figura è come animata da una straordinaria forza interiore, così come il suo viso pare sereno e disteso, illuminato da un bagliore che è la luce trasfigurante della fede.
Davanti a Francesco sono disposti tre oggetti, come se il Santo volesse tenerli costantemente sotto il suo sguardo. Innanzitutto la croce, memoria della Passione e Morte di Gesù, simbolo stesso dell’essere cristiano: si tratta di un oggetto semplice, fatto con due sottili rami intrecciati, che richiama quella solitamente posta fra le mani di San Giovanni Battista, il Precursore. Poi un teschio, autentico Memento mori, allusione diretta, brutale perfino, alla condizione mortale dell’uomo, al destino comune per ognuno di noi: e tuttavia senza drammi, senza disperazione, perché questa, la morte – “Sorella morte” per il Poverello d’Assisi –, è riscattata e vinta proprio da quella croce che sta lì accanto… E infine un libro, che possiamo facilmente immaginare come un testo di preghiere, di sante meditazioni, se non lo stesso Vangelo: perché è della Parola di Dio che Francesco si nutre, quotidianamente, costantemente.
Sullo sfondo si nota un antro buio, come una grotta: è l’umile riparo del Santo sulla Verna, il suo eremitaggio.
L’artista, secondo l’iconografia più diffusa, veste Francesco con il saio bruno che sarà poi adottato dai frati dell’ordine da lui fondato: la corda che gli cinge i fianchi presenta tre nodi, simbolo dei tre voti di povertà, castità e obbedienza che i francescani ancor oggi professano.
Questa intensa raffigurazione di San Francesco ha degli illustri precedenti, da Caravaggio a El Greco, che Cesare Daelli doveva avere ben presenti e che prende a modello per questo suo dipinto, interpretandoli naturalmente con personale sensibilità.
Pittore fieramente legato alla tradizione figurativa (pur in anni di avanguardie e di sperimentazioni), Cesare si era distinto fin da giovane per la sua abilità ritrattistica e per l’originalità delle sue composizioni, diventando già alla fine degli anni Trenta docente di pittura presso l’Accademia di Brera e collaborando col Teatro alla Scala nell’ideazione di scenografie e costumi. Questo dedicato a San Francesco è uno dei suoi ultimi dipinti (Daelli, infatti, muore nel 1970), davvero “francescano” non solo nel soggetto ma anche nello “stile”, semplice, non retorico, animato da uno spirito genuinamente religioso: quasi, insomma, una sorta di suo testamento artistico e spirituale.
Quest’opera è dunque davvero significativa per la nostra comunità. Anche perché va a inserirsi nel solco di una tradizione lontana, che ci rimanda, ad esempio, al XVII secolo e alla decorazione ad affresco del piccolo santuario della Madonna del Pilastrello, quando la devozione dei nobili committenti e della gente della Bresso di allora volle ritrarre appunto sulle pareti della chiesetta la figura di San Francesco. Così come proprio al Poverello d’Assisi si pensò ancora quando venne eretta una nuova chiesa nel moderno quartiere di via Papa Giovanni.