Il volto del perdono – Giotto

Il volto del perdono – Giotto

IL VOLTO DEL PERDONO

Giotto, 1305, Cappella degli Scrovegni, Padova

Offriamo inoltre un commento pittorico, il dipinto del “Tradimento di Giuda” di Giotto, ai versetti del Vangelo di Luca che narrano quel momento della vita di Gesù (Lc 22,47-48):

Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?».

Affollatissima scena, rara negli affreschi di Giotto, a cui bastano poche figure e un’architettura essenziale per suggerire lo spazio. Spazio è la possibilità stessa degli avvenimenti, della storia e della responsabilità. Giotto, che ne è l’inventore, offre al racconto cri­stiano un immaginario nuovo, nel quale il contatto Dio-uomo produ­ce gesti e scenari di indimenticabi­le potenza e profondità. Anche lo spirito gotico, teso a scoprire la li­rica degli sguardi e la bellezza au­rorale di un mondo luminoso, tro­va in Giotto un intenso interprete, soprattutto quando da pioniere scava negli abissi della psiche alle prese con i sentimenti primari del­lo stupore, dell’amore, del dolore, dell’odio e del tradimento.

Qui cinque figure in primo piano e un lembo di terreno bastano al «suo» spazio. Il resto si fa folla tumultuosa, non più individuo ma numero (e quindi non biso­gnoso di spazio) il cui sentimento è affidato al gioco delle lance che insieme alle fiaccole rompono ru­morosamente la quiete del cielo notturno. Qui lance e fiaccole an­ticipano una spazialità astratta che verrà sviluppata dall’arte mo­derna. Ma qui soprattutto uno sguardo riesce a sgretolare il po­deroso masso costituito dall’ab­braccio di Giuda, rivelando l’esi­stenza di due abissi che vanno dentro e oltre ogni conquista pla­stica: l’abisso della bontà e l’abis­so del peccato.

 

Gesù ha addosso il respiro an­simante di Giuda. Ha già ri­cevuto il bacio del tradimento. Tradere = consegnare. E infatti ora il cerchio si stringe paurosamente attorno a lui. Ma c’è ancora tempo per uno sguardo. Esso non è lo sguardo fuggitivo rubato alle cir­costanze che incalzano, ma è lo sguardo dalle distanze infinite: parte da lontano e sembra voler durare per sempre.

Giotto è riuscito qui a tradurre nel tempo qualcosa di eterno. «Giuda, ricordi il bocco­ne di pane che ti ho passato a cena? Perché non mi hai guardato in faccia? Perché sei sci­volato nella notte? Io ora vedo il terrore nei tuoi occhi. Giu­da, fratello mio!».

Il profilo del Cristo sembra uscito da un lungo travaglio.

 

Come spiegare diversamente, vi­ste le circostanze, la sua capacità di essere davanti al traditore la fi­gura stessa della divina dolcezza? Fino a pochi istanti fa il volto del Nazareno sudava sangue. Alla fu­ga terribile di Giuda, si era ag­giunta l’incomprensione dei suoi che si erano addormentati nell’or­to degli ulivi. Ma un’assenza ben più grave l’aveva steso a terra: Dio, il Padre, taceva. Rimbomba­va solo l’assurdo attorno a lui. E se tutto fosse un equivoco? La preghiera pur intensissima rim­balzava contro il vuoto. L’agonia vera per Gesù era stata quella. Lui che respirava del Padre, lui che alla parola «Padre» poteva incan­tarsi tutta la notte e riprendere con energia la fatica del giorno, lui aveva perso il Padre. Al punto che per la prima volta aveva chie­sto qualcosa per sé: che il Padre gli risparmiasse la croce. Ma nel­l’abisso dell’agonia gli era tornato il respiro filiale. E si era rimesso in piedi, deciso. Lui e il Padre, co­munque e sempre, sarebbero stati insieme.

 

«Io e te, Giuda, comunque e sem­pre, saremo insieme»: così Gesù sta ora traducendo nel suo sguar­do la sua esperienza profonda di Figlio alle prese con un povero fratello. Raramente l’arte ha raggiunto l’intensità di uno sguardo che, guardando dritto negli occhi, sa trapassare la colpa (e che colpa!) approdando a un al di là che è oltre la giustizia. Sguardo semplicemente divino in cornee e pupille umane. Giotto qui a Pado­va rinuncia alle potenti suggestio­ni dello spazio e ai gesti possenti che lo spazio vuoto sa amplificare. Usa spazio e gesti al limite dell’es­senziale. Qui il pittore piuttosto fa un passo ulteriore: modula sul colore, sulla luce e sulle segrete ar­monie delle linee un pathos che non ha bisogno di gesticolazio­ni, perché attinge nell’interiorità le vibrazioni più intense. Avrà, Giuda, decifrato nello sguardo di Gesù questo pathos? Avrà, Giuda, sentito la risposta da­ta al capo delle guar­die: «Io sono!»? Avrà, Giuda, sentito queste parole come eco del­l’«Io sono» che Mosè ascoltò al roveto ar­dente? Avrà, Giuda, in­tuito la forza di un amore che parte dalla notte stessa della crea­zione e ha saputo attraversare la più tragica delle nostre notti? A quella risposta di Gesù perfino le guardie indietreggiarono, dice il Vangelo. Avrà Giuda, magari un istante prima di chiudere gli occhi nell’ultima colpa, il suicidio, sco­perto che gli occhi del rimprovero erano gli stessi occhi del perdono?

www.chesadimilano.it

 

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